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Dalla sostenibilità delle opere alla sostenibilità degli operatori

È stato pubblicato nello scorso mese di agosto un interessante position paper dell’Associazione Italiana Financial Industry Risk Managers (AIFIRM) dal titolo: “Economia sostenibile: Rischi e Opportunità per il Sistema Bancario Italiano”.
Nel documento si traccia un’interessante panoramica sul quadro normativo emergente a livello europeo che traduce la consapevolezza dell’urgenza di un progressivo cambio di visione del ruolo dell’impresa nell’economia, più orientato al bilanciamento nel medio-lungo periodo degli obiettivi del massimo profitto con il rispetto delle esigenze dei diversi portatori di interesse (lavoratori, clienti, investitori, banche, etc.). In tutto il mondo cresce la spinta esercitata sulle imprese di ogni dimensione a divulgare ai diversi stakeholders informazioni credibili e affidabili sugli aspetti cosiddetti non finanziari della loro attività, quali governance, socialità (diritti umani e prassi di lavoro), salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, ambiente (inquinamento, emissioni GHG, consumo di risorse, tutela dell’ambiente) e business ethics (corrette pratiche commerciali e nel rapporto col consumatore). L’accelerazione che avremo su questi temi è chiaramente intuibile dalle manifestazioni e dagli impegni presi in occasione del pre-COP26 di questi giorni a Milano.
Troviamo interessante che nel documento dell’associazione si prenda coscienza che la valutazione del merito creditizio non vada focalizzata soltanto sulla bancabilità del credito, ma anche prendendo in considerazione gli aspetti relativi ai rischi non finanziari e in particolare di non sostenibilità. Nell’ultimo decennio è cresciuto sensibilmente il bisogno di sistemi di valutazione dei rischi non finanziari sempre più completi, basati sulla valutazione del livello di esposizione a impatti avversi futuri (forward looking) e possibilmente fondati su certificazione di terza parte indipendente. Ci si è accorti che la rendicontazione non finanziaria basata su standard come GRI e SASB è limitativa perché si affida a informazioni quasi esclusivamente qualitative e, oltre a non rispondere al quadro normativo che si sta consolidando, non permette una misurazione dei rischi ESG al fine di una valutazione del merito creditizio. Inoltre si è compreso che è necessario fare riferimento a norme internazionali e che è necessario un processo di validazione dell’effettivo livello di esposizione ai rischi ESG attraverso un assessment da condursi presso l’organizzazione aziendale. La ISO 17033 “Asserzioni etiche e informazioni di supporto” e la UNI/Pdr 102:2021 “Asserzioni etiche di responsabilità per lo sviluppo sostenibile” forniscono gli elementi per sviluppare schemi di rating sui rischi ESG che possono essere accreditati secondo la norma ISO/IEC 17029 “Valutazione della conformità - Principi e requisiti generali per gli organismi di validazione e verifica”. In buona sostanza abbiamo in Italia, prima di altri paesi europei, un quadro normativo che permette di avere asserzioni etiche verificate e validate da organismi di terza parte indipendente sotto accreditamento Accredia.
Un primo schema accreditato “Get It Fair” che prevede una due diligence per la valutazione dei rischi ESG è già disponibile e può essere messo a disposizione da ICMQ.
Nello sviluppo di investimenti così significativi come quelli previsti dal PNRR si potrebbero introdurre dei criteri premiali che incentivino gli operatori economici a quantificare il loro rischio di esposizione ai rischi di impatti avversi su tutti gli aspetti ESG o non finanziari (governance, sociali, sicurezza, ambientali e business ethics). Se ai fondi che giungono dall’Europa vogliamo che si affianchino anche investitori privati non dobbiamo solo pensare alle opere sostenibili ma anche favorire la crescita di operatori davvero sostenibili.



Leggi l'editoriale impaginato su ICMQ Notizie n. 103

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