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Riutilizzo del fresato d’asfalto alla luce del D.M. 69/18

L’Ing. Stefano Ravaioli è direttore di Siteb – Strade Italiane e Bitumi, coordinatore del gruppo Uni/Ct 012/Sc 02/Gl 01 "Materiali stradali bituminosi e sintetici"

Cos’è il fresato d’asfalto?
Il fresato d’asfalto, ovvero il “conglomerato bituminoso di recupero”, è un aggregato contenente bitume invecchiato e quindi composto dagli stessi materiali del conglomerato vergine! Ogni anno in Italia se ne producono circa 9/10 milioni di tonnellate, cioè il 18% dei rifiuti da costruzione e demolizione.
Esso può essere interamente recuperato sia nel conglomerato bituminoso sia a caldo che a freddo, oppure trasformato in aggregato per rilevati, riempimenti, ecc.
E’ quindi un prodotto riciclabile al 100% che, a differenza di altri materiali, consente anche il recupero del potere legante del bitume. Ciò lo rende particolarmente interessante e prezioso per gli operatori del settore stradale.

Quali sono le fasi operative e regolamentari attraverso le quali passa il fresato d’asfalto reimpiegato nella costruzione di strade?
L’impresa di costruzioni/demolizioni, con la rimozione del manto d’asfalto, genera questo materiale che in determinate condizioni può essere anche un “sottoprodotto” secondo l’art. 184 bis del D.Lgs. 152/06 (Testo Unico Ambientale), ma più frequentemente è un rifiuto individuato dal codice EER 170302. In questo secondo caso, per il suo recupero, vige il DM 69/18 “Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di conglomerato bituminoso ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2 del D.Lgs. 152/06” entrato in vigore il 03/07/2018.
L’impresa deve conferire il rifiuto ad un centro di trattamento autorizzato al recupero e trattamento e il trasportatore deve essere iscritto all’Albo nazionale gestori ambientali per il trasporto dei rifiuti speciali non pericolosi.
L’impianto per il recupero e il trattamento deve essere autorizzato per ricevere il codice EER 170302, tramite procedura “ordinaria” o “semplificata”. In questo secondo caso (D.Lgs.152/06 art. 216), restano in vigore i limiti quantitativi massimi previsti dal DM 5/2/98 (97.830 t in ingresso stoccati in R13) e i limiti per le emissioni in atmosfera saranno quelli dell’all.1, suball. 2 dello stesso DM. Se l’impianto è invece in possesso dell’AIA o di una autorizzazione per il recupero rilasciata ai sensi degli artt. 208, 209 o 211 D.lgs. 152/06, ovvero di “autorizzazioni ordinarie”, i limiti quantitativi del rifiuto in ingresso o quelli del suo recupero come “granulato”, i valori di emissione in atmosfera e ogni altra disposizione da rispettare saranno quelle concordate con l’autorità competente.
Fin qui tutto avviene come previsto anche dalla vecchia normativa; il fresato è ancora un rifiuto e viene gestito come tale. A questo punto il DM 69/18 consente, sotto determinate condizioni e in impianto autorizzato, di attuare il processo “End of Waste”, con la sua trasformazione in “granulato di conglomerato bituminoso”.
Le condizioni previste dal DM 69/18 affinché il fresato diventi granulato sono verificate se:

  • 1) è utilizzabile per produrre miscele bituminose a caldo o a freddo, oppure per produrre aggregati conformi alla norma Uni En 13242.

  • 2) il materiale, sottoposto a test di cessione, non supera i valori limite dei 19 parametri di tab. b.2.2. Vanno controllati anche quelli relativi agli IPA e all’amianto di tab. b.2.1.

  • 3) sono determinate le caratteristiche prestazionali (granulometria secondo En 933-1 e natura degli aggregati secondo En 932-3).

  • A seguito delle verifiche con esito positivo, il gestore dell’impianto di trattamento deve redigere la Dichiarazione di Conformità (DDC) in atto notorio, secondo l’Allegato II del DM 69/18, su lotti / cumuli separati di volume massimo pari a 3.000 m3.
    Quando ciascun cumulo di rifiuto raggiunge i 3.000 m3, occorre effettuare le prove di qualifica del prodotto; le prove chimiche, eseguite da un laboratorio terzo accreditato, saranno le stesse per qualsiasi destinazione finale; quelle di caratterizzazione prestazionale saranno diverse a seconda che lo si voglia reimpiegare in una miscela di conglomerato bituminoso, oppure qualificarlo come aggregato.
    Per l’utilizzo nei conglomerati bituminosi a caldo il granulato deve essere conforme alla norma Uni En 13108-8; deve essere determinata la dimensione massima del granulato e la classificazione granulometrica degli aggregati dopo l’estrazione del bitume con espressione della dimensione minima e massima (d/D).
    Per l’utilizzo come aggregato per strade, il granulato deve essere conforme alla norma Uni En 13242 e sottoposto a marcatura Ce con sistema VVCP 2+ o 4 secondo la destinazione d’uso.

    La legislazione oggi vigente presenta aspetti controversi, difficoltà di interpretazione e di attuazione. E’ possibile ipotizzare un miglioramento?
    Vi sono errori formali nel testo ed aspetti che mettono in difficoltà gli operatori. La gestione di cumuli da 3.000 m3 richiede aree distinte per la messa in riserva del rifiuto, per la sua lavorazione e per lo stoccaggio del granulato: spazi di cui non sempre l’impianto di trattamento dispone. Ma considerato che i parametri con effetto sull’ambiente vanno comunque sempre rispettati, ha senso assicurare tutta tracciabilità per qualcosa che non è più un rifiuto ?
    È previsto che i campioni siano prelevati secondo la norma Uni 10802, specifica per i rifiuti. Più appropriato sarebbe stato richiamare la norma En 932-1 sui metodi di prova per gli aggregati riciclati, più aderente alle intenzioni del provvedimento.
    I laboratori accreditati per le analisi chimiche, allo stato attuale, sul territorio sono pochissimi. Per ogni DDC rilasciata, il trasformatore deve conservare per 5 anni, inalterato, un campione del lotto, per consentire ulteriori controlli. Anche questa richiesta appare eccessiva, sebbene le imprese con registrazione Emas o certificate Iso 14001 siano esentate da tale obbligo.
    Su questi argomenti e con l’intenzione di offrire un contributo tangibile, sia agli operatori che agli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni, Siteb sta approntando una “Position Paper”, che descrive gli aspetti salienti e propone interpretazioni operative. Queste, se colte anche dal Ministero competente, potrebbero rendere il DM 69/18 un potente strumento di “green/circular economy”, caratterizzato da procedure realmente semplici, senza rinunciare alla tutela dell’ambiente.

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