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ESG Rating: quali prospettive per il futuro?

Enviromental, Social & Governance, ovvero ESG.
Tre parole e una sigla che sono alla base di quella che viene riconosciuta come una vera e propria rivoluzione per quanto riguarda le scelte della finanza, ovvero come e dove investire. É infatti sulla base di come un’azienda o un progetto risponda a questi indicatori, sia singolarmente che nella loro relazione, che si decide se prendere parte o meno all’investimento, e quali debbano essere questi parametri. In particolare, decidere come misurarli e valutarli, costituisce oggi una nuova frontiera in materia finanziaria. In quest’ottica, ecco che la sostenibilità e la capacità non solo di prestare attenzione agli impatti ambientali, ma anche in quale modo le scelte dell’azienda si ispirino a principi sostenibili e come si operi sul piano della responsabilità sociale, diventano i fattori discriminanti a supporto del processo decisionale.
É in questo quadro che la nascita di un nuovo schema di valutazione degli ESG come Get it Fair può contribuire a fare maggiore chiarezza e a rendere più trasparente il mercato.

Di tutto questo ne abbiamo parlato con Annalisa Garramone del Group Enterprise Risk Management & Supervisory relations di Credit Rules & Control Mediobanca - Banca di Credito Finanziario S.p.A.
Per una banca il tema ESG è molto importante e lo diventerà sempre di più in futuro. Se, infatti, guardiamo ai nostri portafogli, vediamo che cresce il numero di progetti orientati alla sostenibilità, dove questa attenzione diventa dirimente, sia rispetto ai risultati che ai processi. Egualmente, assume una rilevanza crescente la propensione alla responsabilità sociale. Un trend supportato da strumenti come, ad esempio, la Dichiarazione non finanziaria, che sta trovando interessanti e utili riscontri rispetto a un numero crescente di aziende, anche nel nostro Paese. Il compito di una banca è cercare di analizzare con trasparenza la fondatezza della documentazione, così come la verificabilità degli indicatori, nella doppia logica di costi e benefici e, ancor più, per quanto riguarda i rischi. Attualmente, tutte le banche si affidano alle grandi agenzie internazionali, che dispongono di propri schemi e dove siamo convinti vi sia comunque molta strada ancora da fare, soprattutto in riferimento alle metodologie di valutazione, agli indicatori e all’approccio di aggregazione degli stessi. Penso che siamo soltanto all’inizio di un processo dove ogni proposta o progetto di tipo nuovo può dare un contributo utile. Anche noi stiamo guardando con molta attenzione a come evolverà il contesto.

Come procedete attualmente nelle vostre valutazioni?
Al centro vi è un’attenta analisi dei rischi di investimento. La domanda che ci poniamo è: ‘cosa posso chiedere al cliente e come posso valutare un investimento sostenibile?’ Per questo l’analisi del profilo di rischio e l’attribuzione di un indicatore sintetico, come il rating, diventano ancor più essenziali per la nostra attività. Da qui il ricorso allo sviluppo di metodologie di valutazione in materia di ESG. L’utilizzo di uno schema costituisce per noi un riferimento, ma poi l’analisi dei dati specifici, relativi a qualunque progetto o cliente, viene valutato in termini di attendibilità a seconda della tipologia della clientela, delle caratteristiche, dell’ambito produttivo, di dove opera. È molto diverso se opero in un settore come la produzione di semilavorati, ad esempio in India, rispetto a una realtà ad elevata tecnologia che opera in Europa. Nel primo caso il livello di rischio sul piano delle informazioni e della documentazione è decisamente più elevato e quindi l’attenzione cresce e diventa importante poter disporre di strumenti di verifica dell’informazione più efficaci. Ovviamente non basta descrivere un progetto o dichiarare una strategia di sostenibilità. Considerati i nostri clienti, attualmente la maggior parte di loro opera all’interno di progetti green riconosciuti e quindi più facilmente valutabili. Il nostro monitoraggio diventa quasi immediato. Ciò non vuol dire che non si debba sempre tenere alta l’attenzione, indipendentemente dalla dimensione dell’impresa. Anche rispetto alle PMI l’analisi dei rischi consente di raggiungere livelli elevati di accettabilità. Gli elementi ESG vanno visti come un’opportunità, trovando un giusto equilibrio tra costi e rischi. Da questo punto di vista un elemento importante riguarda la rilevanza reputazionale.

Come valuta nell’attuale contesto una proposta come lo schema Get it Fair?
Poiché siamo in un momento di transizione, un nuovo schema può essere utile. Oggi chi detta il framework di riferimento sono le grandi agenzie di rating internazionali, ma va rilevato che, di fronte ad una corrispondenza pressoché totale dei più comuni Credit Ratings, attribuiti dalle principali ECAI, nel caso di indicazioni e rating ESG tale affinità si riduce drasticamente. La diversità dei modelli contribuisce ad aumentare la divergenza delle valutazioni che queste offrono al mercato e non va dimenticato che oggi il rischio di situazioni di green washing è molto alto. Per questo uno schema come Get it Fair, che supporta strategie responsabili basate su informazioni affidabili, può contribuire a superare la mancanza di una metodologia standard condivisa. L’obiettivo dovrebbe anche essere quello di riuscire a valutare quanto sia sostenibile la controparte, tenendo presente che dall’analisi attuale non è infrequente avere riscontri positivi su una fattispecie e negativi su una componente ESG. Vanno, soprattutto, fatti passi avanti nell’affinamento di una metodologia basata su informazioni valutabili. Il nuovo schema può essere uno strumento utile per il mercato poiché consente l’acquisizione di un’attestazione che rafforza l’attendibilità delle informazioni, attraverso un percorso continuativo di verifica.

Leggi l'intervista su ICMQ Notizie n. 103

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